Me la ricordo ancora quella maledetta sera. Insieme ai miei due fratelli più grandi avevamo aspettato quella partita per tutta la stagione, eravamo nervosi, esaltati, frementi di vedere scendere in campo Platini e Boniek, di ammirare i miracoli di Tacconi, le sgroppate di Tardelli, l'eleganza di Scirea.
Tutti, davanti alla televisione, a spellarci le mani per l'ansia e l'emozione, ma poi, improvvisamente, attoniti, senza parole, con gli occhi sbarrati e l'incredulità di tre ragazzini tifosi della Juventus fin dalla nascita. Le immagini spaventose che si susseguivano senza un apparente significato, la voce dei Bruno Pizzul, preoccupato e sgomento, le facce dei tifosi spaventati, terrorizzati da ciò che gli stava succedendo.
Poi lui, il tifoso inglese che a bordo campo si becca una pietra sulla testa, lanciata chissà da chi. La sua fronte sanguinante, i cordoli dei poliziotti, le notizie sempre più drammatiche raccontate da voci increduli e angosciate, il muretto crollato e i corpi inermi di uomini, donne, bambini stesi dappertutto, gli hooligans in preda all'esaltazione dell'alcool.
La voce di Gaetano Scirea, quello struggente e drammatico "giochiamo per voi" che, ogni volta, mi provoca una lacerazione terribile, pensando anche al destino infame che è stato riservato al nostro grande capitano e numero 6.
Frammenti che ancora oggi, a 37 anni di distanza, riaffiorano nella mia mente ogni volta che penso all'Heysel e alla Coppa dei Campioni. Allora aveva appena 10 anni, ero un bambino come tanti, già tifosissimo della Juventus, da buon meridionale a cui il calcio, almeno quello che conta, aveva sempre dato troppo poco.
Cercavo nei miei fratelli una parola di spiegazione e di conforto per quello che stavamo vedendo, inorriditi e scioccati, incapaci di capirne il motivo. Poi la partita, surreale, il rigore di Platini, la sua esultanza, quasi stonata e fuori luogo, seppur in pochi, in quei momenti, sapevano già cosa realmente fosse accaduto e il giro di campo a fine partita, seguito con le lacrime agli occhi, ma non di gioia.
Dopo la finale di Bilbao di cui non avevo ricordi e quella di Atene, per cui ne avevo soltanto pochi, credevo che quella sera potesse essere la mia prima volta, tanto attesa e desiderata, ma rovinata dalla follia di un manipolo di pazzi assassini, senza volto, senza nome e senza anima.
Un sacrificio inspiegabile di 39 vite che speravano solo di guardare una bella partita, di veder vincere la Juventus, di vedere alzare a Michel Platini quella Coppa tanto desiderata quanto già sfuggente e diffidente nei nostri confronti.
I ricordi sono importanti nella nostra vita, servono per farci andare avanti, a insegnarci a vivere meglio, a riscattarci e a trovare quello che abbiamo sempre cercato. Spero anche io, un giorno, di trovare quello che cercavo quel 29 maggio del 1985, ovvero il motivo di tutto questo dolore.
(Marcello Gagliani Caputo)
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